di Aurelio Musi
Sono oltre ottanta le lettere che Gioacchino Volpe inviò a Benedetto Croce tra il 1900 e il 1927. La loro lettura consente di ricostruire la genesi, lo svolgimento e la rottura di una lunga amicizia che solo le scelte politiche antitetiche, compiute dai due più importanti intellettuali del Novecento italiano, portarono a conclusione. Ha perciò fatto bene Eugenio Di Rienzo a curarne l’edizione col titolo “La storia ci unisce, la realtà politica ci divide, un poco”. Lettere di Gioacchino Volpe a Benedetto Croce (1900-1927), Società Editrice Dante Alighieri.
Nella sua introduzione Di Rienzo illustra i non pochi motivi di convergenza tra Volpe e Croce all’origine del rapporto: la comune opposizione a ogni forma di teologia e metafisica, al determinismo sociologistico ed economicistico; e, ancora, l’idem sentire sul primato della storiografia nei confronti delle altre scienze umane. Entrambi poi prediligevano la “buona storia economica”: quella, ad esempio di Luigi Einaudi, sensibile ai fondamenti e alle determinazioni storiche dell’analisi economica.
Dal 1903 Volpe divenne collaboratore fisso della rivista “La Cultura”, fondata da Croce, che raccolse la parte più viva dell’intellettualità italiana di quegli anni e che si distinse soprattutto per alcune memorabili stroncature cui non fu estraneo lo stesso Volpe. Su di lui e sulla sua biografia intellettuale la presenza crociana fu indubbia: e lo storico medievista, capace anche di misurarsi coi problemi del suo tempo, non esitò a riconoscerlo. Di Rienzo ricostruisce, con dovizia di documentazione e riferimenti bibliografici, anche la vicenda della cattedra universitaria che oppose Volpe a Gaetano Salvemini e che vide il primo avere la meglio sul secondo anche per il sostegno esterno, per così dire, del filosofo napoletano.
Furono anni, quelli del sodalizio e dell’amicizia, ricchi di progetti soprattutto da parte di Volpe: la fondazione di una nuova rivista, l’ideazione di una Storia d’Italia a più voci e con molti collaboratori, per citarne solo alcuni. Furono quelli anche gli anni in cui si gettarono le basi della migliore stagione della storiografia italiana del Novecento: parte delle opere storiche di Croce più significative furono concepite nel decennio Venti e Volpe progettò la voce “Italia” che avrebbe scritto per l’Enciclopedia Italiana, diretta da Giovanni Gentile, premessa della più compiuta interpretazione della storia della penisola offerta nelle sue opere più mature.
I due intellettuali si trovarono su fronti opposti già durante la prima guerra mondiale: il Volpe nazionalista fu interventista; il Croce liberale fu neutralista. Come si sa e come lo stesso Di Rienzo ha ricostruito in altri suoi libri, non fu il 1922, cioè il Fascismo della marcia su Roma e delle origini a determinare la rottura dell’amicizia. A Croce non dispiacque del tutto il Mussolini della prima ora che interveniva nel corpo vivo di una nazione lacerata dalla crisi del “biennio rosso” e fortemente scossa nei suoi fondamenti liberali. La rottura avvenne dopo l’assassinio di Matteotti e l’instaurazione del Fascismo come regime, Stato totalitario, con l’introduzione delle “leggi fascistissime” nel 1925. Allora la scelta del mussolinismo da parte di Volpe allontanò il filosofo dal vecchio amico.
La tesi sostenuta da Di Rienzo meriterebbe, per essere ancor meglio convalidata, il confronto con altri supporti documentari. In sostanza il curatore delle lettere scrive che negli anni successivi alla rottura Croce fu protagonista di una vera e propria strategia demolitoria diretta non solo a contestare e contrastare la scelta politica di adesione al Fascismo, operata da Volpe, ma soprattutto a delegittimarne l’intero percorso di ricerca storica e di interpretazione storiografica. La tesi farà sicuramente discutere.
(Pubblicato il 17 gennaio 2022 © «la Repubblica»)