di Egidio Ivetic
Che l’Italia sia il centro del Mediterraneo è logico e scontato. Non tanto scontato è invece il rapporto che l’Italia, nella sua storia, ha avuto con il mare che la circonda. Un mare spesso assente nella letteratura, se non come orizzonte comprimario, un mare che non ha bagnato abbastanza gli studi storici che hanno preferito rappresentare, dai manuali alle grandi sintesi, un’Italia decisamente continentale, un promontorio d’Europa piuttosto terragno, poco marinaro. Eppure il medioevo mediterraneo è stato segnato dalle famose quattro repubbliche marinare, secondo la fortunata formula risorgimentale buona per radunare le vicende simili ma diverse di Amalfi, Pisa, Genova e Venezia. Un dominio marittimo che si era conservato fino al Settecento. Poi il rapido decadimento, con la scomparsa delle repubbliche di Venezia e Genova nel 1797 ad opera di Napoleone. Solo con l’Italia unita si torna al mare come dimensione vitale. Un percorso difficile, si pensi alla sconfitta di Lissa (1866), e velleitario, anche troppo, si pensi al Mare Nostrum fascista. Come conseguenza, la Repubblica ha sviluppato un atteggiamento di distacco dal Mediterraneo, ridotto, nell’immaginario, ad essere lo sfondo delle vacanze, la stessa spiaggia, lo stesso mare, anche quando si va in barca.
Ma l’apogeo economico e culturale dell’Italia medievale corrispose alla piena padronanza della dimensione marittima nel Mediterraneo, dalle costruzioni navali e dalle tecniche di navigazione, ai porti, alla logistica (diremmo oggi), al commercio, alla legislazione marittima, alla guerra sul mare. Come non prima e non dopo, il centro di questo mare, l’Italia, fu, nei suoi contesti marittimi, un mondo dinamico, propositivo e intraprendente. Per noi, tuttavia, poco conosciuto. Che cosa significò prendere il mare nel medioevo italiano ci spiega ora Antonio Musarra con un libro denso, puntuale, erudito, ma affatto leggibile, capace di intrigare un po’ tutti, compresi gli appassionati della navigazione, la gente di mare e gli studiosi. Un libro importante, anche perché Musarra è riuscito a realizzare un perfetto compendio della marineria medievale italiana, una ricostruzione dettagliata, ma adattata alla nostra prospettiva e cultura. Nella struttura dei capitoli e nel procedere si coglie un sapere organizzato, sistematico dello scibile marittimo, che non trascura nulla; una specie di De navigatione, per riprendere il noto trattato di Benedetto Cotrugli, mercante e diplomatico di Ragusa (attuale Dubrovnik). Musarra setaccia le esperienze di gente abituata a navigare da Venezia a Costantinopoli o a Barcellona, da Genova ad Alessandria o Cadice e oltre fino a Bruges e Londra. Conosce e ci spiega le connotazioni e le differenze tra le marinerie del tempo, quella veneziana, quella genovese, quella catalana, quella del Levante. Fonda la sua narrazione su una varietà di fonti (disseminate nelle note); e non gli sfuggono i riferimenti classici tra cronache, trattatistica, opere celebri. Così appare opportuno e solenne l’incipit con un passo del canto nono del Paradiso di Dante, in cui si descrive il Mediterraneo, nelle parole del trovatore Folchetto da Marsiglia, quasi fosse una mappa mundi.
Le tappe del libro sono il mare e la sua rappresentazione medievale, tra il reale e l’immaginario, mare dei mercanti, dei pellegrini, delle speranze e delle paure. Poi i porti, «brecce lungo la costa» di varie tipologie, zone ibride, soglie d’entrata e di uscita, con i loro magazzini, banchine, fondaci e dogane, tanti microcosmi di vita. Seguono i mestieri del mare, una «variegata geografia umana» tra maestranze e salariati vari, di cui certi specializzati come i cercatori di corallo; i luoghi della costruzione navale, come il noto «arzanà de’ Viniziani» (Dante), la prima grande manifattura europea, la cui materia prima furono i legnami di diversi tipi e luoghi per ogni singola parte della nave; e poi i contratti di costruzione, con tutte le clausole, e la stessa costruzione. Su navi, equipaggi, vita di bordo e navigazione segue un vero trattato: dalle denominazioni per i navigli e dalle sezioni dello scafo (descritte con precisione ingegneristica) allo sviluppo delle galee, alle tecniche di voga; dal reclutamento della manodopera marittima alle gerarchie più funzionali che sociali a bordo; dall’alimentazione, con cadenze rituali, alla percezione del tempo, al senso di religiosità che la navigazione ispirava; dai venti, correnti e rotte, agli scali e ai convogli, dall’astronomia alla bussola, alle carte e ai portolani, ai codici marinari. Sembra di sentire l’odore di salsedine, pece, cordame, spezie. Infine, ci sono pagine dedicate alla guerra sul mare, alla pirateria, alla storia dei fatti imprescindibili. Finché il varcare le colonne d’Ercole, con Colombo e altri prima di lui, non schiuse altre soglie, altri orizzonti per altre marinerie.
(Pubblicato il 17 aprile 2021 © «Tuttolibri»)